Viaggiare è come sognare: la differenza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualcosa, mentre ognuno conserva calda la memoria della meta da cui è tornato.
(Edgar Allan Poe)
Martedì 15 gennaio 2013
Stiamo lasciando il sole africano, che durante questo soggiorno ci ha scaldato l’ anima ed il sangue, con l’ illusione utopica di tornare in Italia al punto di partenza ed essere accolti da un magico cambiamento climatico, senza precedenti, magari non trovando più il gelido inverno ma una precoce e calda estate !
Sì questo è stato il tormentone che ci ha accompagnato lungo la strada che ci portava da Koudougou all’ aeroporto: non farci rubare in nessun modo il calore regalatoci dal sole del Sahel e dalla gente incontrata !
Un viaggio un po’ per caso iniziato il 5 gennaio 2013 con 6 personaggi ed un canovaccio (approssimativo, improvvisato) che ha fatto emergere - riemergere - rivivere la capacità di emozionarsi. Che ha permesso a tutti di apprezzare l’ umanità dignitosa di chi recita il quotidiano su un palco troppe volte scomodo e faticoso.
Dieci giorni per camminare e incontrare, per scoprire e lasciarsi scoprire, per riportare a casa una borsa vuota di vestiti, ma zeppa di ricordi e di suoni che, come una cantilena resteranno a lungo vivi nella testa !
Sabato 5 gennaio 2013
Nel momento del bisogno si trova sempre un amico ben disposto ad un aiuto …. se si è coltivato il seme dell’ amicizia. Infatti alle 6 di mattina il pulmino, gentilmente prestato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, é la provvidenziale navetta che ci trasporta a Malpensa.
Come sempre abbiamo bagagli stracolmi di provviste e regali, per sfruttare al massimo la disponibilità di peso che ci consente Turkish air line, la compagnia aerea scelta per portarci alla meta.
Ci accompagna nel primo tratto di strada un’ alba che dipinge il cielo di sfumature
che preludono il sereno di questo giorno. Si va verso l’ aeroporto un po’ assonnati e silenti: forse ognuno di noi, in cuor suo, nutre qualche riserva sulla buona riuscita
dell’ avventura che sta iniziando !
Anche il conducente parla poco, ogni tanto qualche battuta ravviva l’ atmosfera, forse ci stiamo “studiando” l’ un l’ altro ?
(arrivati alla meta, nel buio della notte africana, apparirà ben chiaro ed evidente che lo stare insieme sarà piacevole, Dieu Merci !)
Il volo, partito da Milano, termina con un’ ampia virata sul mare passando sull’ abitato di Istanbul che dall’ alto appare immensa e molto bella; l’ aereo atterra poi sfiorando dolcemente la pista.
Poche ore di attesa prima del volo per Ouagadougou. Otteniamo il biglietto di transito, dopo una caotica coda di gente che si accalca intorno allo sportello del disorganizzato personale, sfoderando per l’ occasione un Inglese primitivo ma efficace !
Efficace al punto che, “incredibile ma vero”, cercando sull’ aereo la numerazione del posto alcuni di noi si accorgono di esser prenotati in classe Business. Mi rivolgo incredulo alla Hostess che conferma con un sorriso rassicurante: da prima classe !
Spazio comodo, servizio di riguardo con un menu curato che termina addirittura con il digestivo (basta chiedere!)
Ce la ridiamo di questa fortuna e, da gente raffinata quale siamo ormai considerati, ci godiamo sfacciatamente il comfort che ci è omaggiato. Gesticolando, mentre parla con me, Matteo dà una colpo maldestro al bicchiere di cognac, appoggiato sul tavolino, che si rovescia sopra ai suoi pantaloni cadendo poi in frantumi a terra e smentendo così , in modo plateale, il nostro status di gente classe business . Che figura !
A notte fonda ci tocca ancora lo scalo tecnico di Njamej in Niger, con una pausa che mette alla prova la nostra resistenza. Raduniamo le energie per sopportare l’ ultima ora di volo, prima di arrivare finalmente a destinazione.
A Ouaga è tutto pronto. Sbrigate le formalità burocratiche e passata la dogana, ci attendono il sorriso e l’ abbraccio di Issa, autista fidato e di fiducia. Lo accompagna lo scaltro Guba che è lì per incassare l’ anticipo e consegnarci il petit-car . E’ lo stesso mezzo dell’ anno scorso ma un po’ più scassato. Sul piazzale dell’ aeroporto incontriamo i cambia- valuta con i quali contrattiamo il cambio euro / franchi - cefa (ovviamente tutto “ in nero” e clandestino).
Dopo tanta fatica ci concediamo la nostra prima Brakina, fresca e meritata, che prendiamo in un “bar” dove due tipe scherzano, in modo simpatico, con le “blanc”.
Il gusto fresco della birra ci tonifica, Selena apprezza il sapore della Brakina ed ingrana immediatamente la giusta marcia per il suo primo afro – tour.
Matteo ci guarda un po’ da lontano: ha bisogno di tempo ….. mi domando: “se adesso gli offrissero un volo aereo immediato per l’ Italia chissà cosa farebbe ? “
Affrontiamo il “goudron” con i fari che bucano il buio della savana. Il dondolio del furgone addormenta la comitiva, stanca e stordita dal lungo viaggio. Intanto Issa ci conduce “a casa”.
La notte africana non è sempre quieta e se c’ è festa non si interrompe certo per timore di disturbare il vicinato! Infatti, poco lontano dalla nostra casa, si festeggia un matrimonio e gli amplificatori pompano una musica orribile che non smette mai. Per fortuna anch’ io, che mi adatto con difficoltà ad un letto diverso, piombo per sfinimento in un sonno terapeutico.
Domenica 6 gennaio 2013
Come sempre è dalla Moschea che arriva la prima sveglia mentre la musica della notte, già un po’ stanca, adesso picchia in sordina.
Prendiamo il primo caffè in terra lontana ed il sapore è pessimo: la caffettiera, che da troppo tempo dorme inutilizzata, sovrasta col gusto di latta quello del caffè: pazienza !
La curiosità ci spinge verso la casa dove c’è festa. Verrebbe voglia di andare con dei bastoni per distruggere gli amplificatori, ma i bambini che in strada ci circondano addolciscono il nostro animo.
Intanto avviene il primo miracolo della terra rossa: i sorrisi disarmanti dei bimbi, e la loro povertà, fanno breccia nei cuori bianchi ed in particolare Matteo si commuove: lui, che mai vuole essere fotografato, chiede di essere immortalato con un bimbo in braccio. I suoi occhi sono arrossati: so che non è la polvere !
Alcuni di noi decidono di visitare il mercato mentre io mi trattengo dalla Cattedrale per la Messa. Un mare di gente partecipa alla funzione con preghiere e canti ritmati che, in una danza leggera, fanno ondulare i corpi dei fedeli.
Questa espressione di fede non può che rallegrare il buon Dio: quanta differenza dalle funzioni vissute nelle Chiese di casa nostra !
Ci ritroviamo per il pranzo iniziando con una éntree di “soma d’ aj” spalmata su un pane croccante che si presta in modo eccellente. Quella del libanese è davvero un’ ottima panetteria, infatti lavora instancabilmente dal primo mattino fino a notte, sfornando una quantità enorme di dorate baguettes.
Aisha gusta la soma d aj stupita di questa semplice e buona ricetta.
E’ un po’ che noto l’ orribile pettinatura di Aisha e penso che andrebbe messa un po’ in ordine. Mi offro così di pagarle la piega migliore che la sua amica coiffeuse potrà acconciarle: sorride felice accettando.
Sappiamo che a Tiebò ci attendono con ansia, ma, prima di andarci, ci concediamo un meritato riposo per recuperare un po’ delle energie (perdute nel faticoso viaggio
dall’ Italia) da spendere poi al villaggio, dove accoglieranno in modo trionfale le blancs che arrivano da lontano e fanno cose straordinarie per la loro comunità.
Quest’ anno raggiungere Tiebò è difficile: l’ abbondante stagione delle piogge ha rovinato parecchio la strada lasciando solchi profondi da attraversare. Se la prossima stagione piovosa sarà di nuovo così ricca d’ acqua arrivarci con un mezzo trainato da due semplici ruote motrici sarà impossibile.
La domanda che un buon europeo si pone in questa situazione è: “ma perché non la riparano ? “ ; risposta africana: “A che serve a chi va a piedi, in bicicletta o col motorino ? E’ sufficiente passare un poco più in là, il n y a pas de problemes “ !
Il vociare dei bambini, che sbucano da ogni dove, è la colonna sonora che ci rallegra durante il percorso. Intanto il furgoncino, tra una buca e l’ altra, sballotta i suoi passeggeri sollevando un polverone che inghiotte tutto quanto, dietro di noi.
Giunti in prossimità di Tiebò veniamo accolti da abbracci e cordiali zuccate (forma di saluto in uso in questa terra) di amici che rivediamo a distanza di un anno. Un seguito di musicisti e giovani ballerine ci accompagna al luogo dove ci saluteremo gioiosamente rinnovando l’ amicizia che ci unisce.
Ci sentiamo ormai parte di questa umanità che “a cerchio” si stringe intorno a noi per
vederci e farsi fotografare. Il calore ed il rumore di questo incontro hanno ormai vanificato gli ultimi deboli dubbi che i neofiti di questo viaggio nutrivano circa
l’ esperienza africana !
Cerco gli attimi migliori per scattare, in una nuvola di polvere che colora l’ atmosfera ma che è veleno per la macchina fotografica.
Al tramonto chiudiamo questa intensa giornata. All’ unisono constatiamo che la distanza fra il mattino e la sera è stata così ampia da provare la sensazione di aver vissuto il doppio !
La notte è ancora disturbata da una musica lontana, ma anziché fastidio è una piacevole ninna nanna.
Lunedì 7 gennaio
Si può scegliere di camminare insieme oppure prendere direzioni diverse …
l’ importante è ritrovarsi; così sarà per questo giorno:
i “business men” andranno in capitale, mentre quelli di buona volontà si sposteranno a Tiebò per dipinger di nuovo colore le stanche pareti delle aule scolastiche.
A Ouaga ci arriviamo con il mercedes preso a prestito da Daniel, il fabbro.
In un’ ora circa, senza correre troppo, arriviamo comodi per INCONTRARE e VEDERE.
L’ aria della città è un impasto colorato di polvere ed una miscela di gas di scarico assortiti fra olio, benzina e gasolio !
Ouaga si estende immensa: sotto il suo cielo scorre una vita dinamica e caotica
nella frenesia tipica di ogni capitale.
INCONTRIAMO: Mahadi e suo fratello, abile e fidato commerciante che vive a Lomè, in Togo. Al porto vende mercanzie, auto e camion che gli amici africani, residenti in Europa, gli spediscono nella speranza di ricavarne un guadagno provvidenziale per arrotondare i loro euro - redditi. Ci incontriamo nel giardino di un bar frequentato da un via vai di venditori. Mi incuriosiscono, e mentre gli uomini di affari discutono, cerco di farmi raccontare un po’ della loro vita. Qualcuno parla volentieri raccontandomi le fatiche e la speranza di avere un giorno una vita migliore !
VEDIAMO: accompagnati da Dorcas, moglie di Didier e prossima a raggiungerlo in Italia, raggiungiamo due punti significativi della città: l’ inumano carcere di M.A.C.O. (Maison d'Arret et de Correction) lugubre fabbricato che si impone, in centro città, quale monito a chi osa infrangere la legge e la tomba dove riposa il “Che-Africano” Thomas Sankara di cui quest’ anno ricorre il venticinquesimo anniversario di morte.
Sapevo che quel cimitero era un luogo anonimo e trascurato, ma che la tomba fosse in tale stato di abbandono mi ha molto rattristato.
Quale poco onore per Sankara, paladino dell’ onestà e nemico dei corrotti che da Presidente è stato a fianco del suo popolo vivendo comunque in sobrietà.
Quante cose avrebbe da insegnare ai politici di oggi e di domani Thomas, testimone inflessibile e coerente, che non si è mai piegato a sporchi compromessi !
A M.A.C.O. arriviamo per l’ appuntamento con Padre Francois presentandoci alle guardie dell’ ingresso che ci invitano ad attenderlo in cortile. Il grande spazio del cortile è affollato di persone che, tra il paziente ed il rassegnato, sono lì per consegnare, sottoponendosi a rigide ispezioni, sacchi di viveri ai loro parenti, rinchiusi nell’ inferno oltre il muro. Lasciati i pacchi non resta che sperare: chissà se saranno davvero consegnati a chi li attende ?
Padre Francois è un sacerdote che, per quanto gli è concesso, cerca di dare
un’ assistenza umana e spirituale ai prigionieri di M.A.C.O.
Ci presenta al responsabile del carcere domandando per noi l’ autorizzazione ad oltrepassare il confine del mondo libero. Otteniamo il permesso senza difficoltà e, come cauzione, vengono trattenuti i nostri passaporti.
All’ interno, in un grande spazio, sono costruiti padiglioni squallidi e soffocanti, contenitori di una umanità che ha sbagliato o attende rassegnata che una lenta e incerta giustizia decida per la colpa o l’ innocenza: sono minori, donne, uomini e politici.
Impressiona in modo particolare un grande cubo senza finestre, solo con piccole fessure per il passaggio dell’ aria. E’ angosciante pensare che sia abitato da persone delle quali si avverte la presenza solo dai miseri panni che fuoriescono stesi dalle feritoie. Faccio molte domande a Padre Francois che racconta dettagli orribili.
Il sogno di Padre Francois è di costruire a M.A.C.O. un forno capace di cuocere tanto “pane quotidiano” da poter sfamare tutti i reclusi oggi costretti a pasti così orrendi che sarebbero rifiutati perfino dagli animali! Ci dice di aver già ricevuto qualche piccolo finanziamento, mancano ancora risorse, ma Francoise è determinato ad avviare al più presto i primi lavori. Condividiamo ed incoraggiamo le sue aspettative !
Siamo ormai a pomeriggio avanzato quando, usciti da M.A.C.O. , ci rituffiamo nel flusso di auto e moto che percorre Ouaga per dirigerci verso la più tranquilla Koudougou.
Rientriamo volentieri alla base, “a casa”, dove gli amici ci raccontano di non aver potuto lavorare a Tiebò, perché, non avendo avvisato, si svolgevano le lezioni che non era possibile interrompere! La faccenda mi indispone un po’, parendomi irragionevole che il Direttore non comprenda che il nostro soggiorno in Africa è limitato e non possiamo permetterci di temporeggiare oltre. Telefono, per una richiesta d’ aiuto, al nostro mediatore Idrissa il quale, con la giusta ed efficace diplomazia, parlando con il Direttore dipanerà la matassa !
Oggi Aisha è andata dalla pettinatrice, ed è “trasformata”: la nuova acconciatura la rende davvero graziosa. Vedendola, fingo di non riconoscerla. Tutti quanti apprezziamo questa metamorfosi, in più indossa un abito davvero carino che Selena adocchia subito desiderandolo per lei. Nasce così una piccola trattativa fra le due donzelle per stabilire un prezzo equo del vestito, ma Aisha, con il suo dolce sorriso, assicura di voler regalare l’ oggetto del desiderio !
La cena è animata e si sta bene insieme. A tavola siamo sempre più numerosi ma, fortunatamente, “ce n’è per tutti”.
Il capo villaggio di Tiebò, Chef Kaborè, è sceso a Koudougou in questi giorni auto-proponendosi come ospite (permanente). Assicura di fermarsi appena un paio di giorni, giusto il tempo di sbrigare l’ acquisto di un terreno: resterà invece per tutta la nostra permanenza, non disprezzando mai un bicchiere di brakina ed arrivando sempre in perfetto orario per i pasti!
Martedì 8 gennaio
Tiebò è il “punto centrale” delle nostre permanenze in Burkina, anche se andarci più volte, in breve tempo, stanca maledettamente. L’ ultimo, eterno, tratto di sentiero, che parte da Imasgo per il villaggio, è massacrante sia per la carrozzeria dell’ automobile che per la nostra spina dorsale ! La schiena è costretta ad ammortizzare sobbalzi terribili, con sonore zuccate che sbalzano il passeggero sul sedile in modo violento!
Per chi guida la situazione non è certo migliore: Issa è davvero paziente e robusto perché il petit-car, ormai “alla frutta”, oltre a spegnersi ogni volta che il regime del motore si abbassa, ha anche l’ idroguida fuori uso e richiede quindi muscoli alla “braccio di ferro” per sterzare.
Il mattino è fresco ed il sole rende alla natura una luce morbida (effetto flou) che appare quasi dipinta come una scenografia appoggiata ai lati della strada.
Commento con Matteo la bellezza della luce ….. ma mi dice di trovarla identica a quella di un mattino di casa nostra, e ciò mi smonta brutalmente ! Poi, non ricordo quale sia stato lo spunto che lo ha sollecitato, Matteo parte in una monologo di confidenze e di sapienza raccontando e considerando, facendosi apprezzare per la simpatia del suo narrare. Accorgendosi di aver catturato la platea si interrompe, quasi fosse fuori luogo il suo parlare: “ Ho già detto troppo, ora basta …. ! ” ma aperta la breccia il defluire è inarrestabile.
A Godin c’ è mercato. E’ facilmente intuibile dalla processione di biciclette che, stracariche, vanno in quella direzione. Avanzando più rapidi le facciamo sparire in una nuvola di polvere dalla quale riappariranno per sparire ancora al passaggio di un’ altra auto.
Il barrage di Goden, in questa stagione, è costellato di ninfee che si aprono ai raggi del sole, donando all’ insieme l’ immagine di un cielo stellato, anche se popolato di mostri che pacificamente vivono al suo interno: son les Kaiman (coccodrilli) .
Purtroppo, siamo di fretta, Tiebò ci attende per il lavoro, non possiamo sostare, magari lo faremo al ritorno.
Alla scuola lavoriamo sodo e in squadra. Iniziano la pittura i professionisti, vestiti di tute bianche e armati di rulli e vernice, poi, poco alla volta, si aggiungono volontari che, con entusiasmo, si prestano a “dare una mano” e in men che non si dica il lavoro, preventivato per un paio di giorni, viene terminato in meno di una giornata. Si lavora sotto gli occhi dei bambini e della gente che stupita ci osserva, e questo clima di curiosità allevia la calda fatica.
Nel primo pomeriggio le aule profumano già di pulito, è un trionfo: rapidità e qualità.
Nella cucina della mensa, stanchi e sporchi di vernice, condividiamo il piccolo pranzo portatoci da Selena e Lillo giunti con il secondo viaggio di Issa: Tiebò- Koudougou –Tiebò (povero chaffeur). Selena e Lillo hanno atteso a Koudougou che il Libanese sfornasse la montagna di baguettes necessarie per il party.
Mentre i lavoratori si concedono un riposino, Aisha e Selena confezionano i panini con il cioccolato, da offrire ai ragazzi che da fuori “ci assediano” in una chiassosa effervescente attesa.
Al calar del sole tutti hanno divorato i panini e la nuvola di polvere sollevata dalla maxi partita di pallone è sfumata, portata via dalla brezza dell’ harmattan che, a sera, inizia a soffiare.
La gente rincasa ed anche noi prendiamo la via del ritorno rassegnati a farci frullare dalle buche, ma ben disposti perché, ad Imasgo, ci concederemo il rinfresco dei giusti !
Lungo la via di casa, quando il sole è ormai basso, accostiamo ancora per un saluto al papà di un amico che vive a Fossano: è da molto tempo che mi chiede questa cortesia. Finalmente mantengo la promessa fatta e troppe volte disattesa.
Entriamo in un piccolo cortile, dove un uomo, ormai al tramonto della vita, trascorre i suoi giorni in paziente vecchiaia: la nostra presenza lo rallegra.
Non parla, e non comprende il francese, così Brema traduce il saluto e le notizie che porto del figlio Giuseppe che vive lontano ! Con un gesto quasi di benedizione e una stretta di mano ancora vigorosa saluta e ringrazia. Per ricordare, fermo questo momento commovente con uno scatto. Il vecchio invece ricorderà raccontando alla sua gente
l’ onore che gli è toccato.
A casa, prima di salutarci per la nanna, concordiamo una sveglia di buon’ ora per goderci l’ emozione ed i colori dell’ alba africana.
Mercoledì 9 gennaio
Se la sera precedente è stata da leoni il mattino successivo è da …….. dormiglioni.
All’ appuntamento con l’ alba nessun bianco era presente ad accogliere il sole che, se pur deluso, non ha mancato comunque il suo impegno di illuminare il 9 gennaio !
La colazione è il rito che apre la giornata. Il tavolo, dove i tanti clienti dell’ open bar si ritrovano, è sempre troppo piccolo e, tra caffè e biscotti made in Italy, impostiamo due distinte avventure da vivere.
Lillo ed io incontreremo il Direttore della Scuola di Tiebò, mentre Issa accompagnerà “il resto della banda” prima a salutare le donne che frantumano le pietre lungo la strada di Sabou e poi al lago dei “ Kaimani sacri’.
L’ incontro con il maestro è per una questione di soldi legata all’ Associazione; sbrighiamo la pratica nello spoglio ufficio di una minuscola banca locale.
E’ un’ operazione semplice ma, essendo tutto gestito manualmente, sarà lunga.
All’ addetto, che appare come seduto in una buca, dietro un bancone sproporzionato per l’ altezza e a misura di un cestista di basket, consegniamo la mazzetta di logori denari, che conta e riconta. Poi con energico vigore timbra e convalida le ricevute del versamento.
Risolta la questione d’ ufficio siamo più sollevati ma con la gola riarsa. E’ un problema fisico che si ripropone più volte durante la giornata ed è un disturbo tipico dei soggiorni in Burkina. La medicina tradizionale del posto consiglia di combattere questo antipatico inconveniente facendo abbondante uso di brakina oppure, quando è possibile, brakina e tonic. Possiamo testimoniare che il fastidioso problema alla gola sparisce piacevolmente all’ istante!
Ci concediamo così due freschissime brakine mentre sono ormai le 11 spaccate, proprio
l’ ora migliore per andare al lago a goderci lo spettacolo delle ninfee, sperando di incontrare anche qualche pigro coccodrillo sdraiato al sole.
Il barrage è racchiuso in una cornice di manghi rivesti da chiome di verdi foglie lucenti, quasi fossero state cerate. La riserva di acqua con la stagione secca diminuisce lentamente fino a ridursi a poco più che una pozzanghera. Di conseguenza i coccodrilli, in quel periodo, dovranno ritirarsi in letargo dentro fresche buche profonde che si scaveranno nel fango, attendendo che le piogge future restituiscano nuova acqua al loro habitat.
Intanto un kaimano, curioso di vedere dei “nasara”, esce lentamente dall’ acqua per accovacciarsi su un isolotto poco lontano dalla sponda dalla quale ci godiamo la visione. Ci guardiamo l’un l’ altro con po’ di inquietudine: il coccodrillo ha paura degli uomini (ci dicono i locali) e noi di lui ! Per non spaventarlo stiamo fermi ed in silenzio, così si concede per un paio di scatti per poi tornare in acqua salutandoci..
Sulla sponda del lago, alcuni ragazzi confezionano mattoni di terra. A mani nude e con movimenti rapidi pressano, a schiena curva, fango ed erba secca dentro appositi stampi. Distesi al sole una grande quantità di “bric” sono pronti. Saranno acquistati, per per pochi franchi, da chi costruirà una casetta.
Incuriosisce il loro lavorare a ritmo veloce: forse sarà per sfruttare il più possibile quel fango che tra un po’ di tempo diventerà terra secca e bruciata costringendoli, come i Kaimani, ad attendere una nuova stagione piovosa.
A mezzogiorno i morsi della fame ci ricompongono per il pranzo, dove ci raccontiamo quanto fatto in mattinata. Alla “ banda” non è andato tutto come da programma perché le donne non erano al lavoro. Fortunatamente una di loro, che vive poco lontano, li ha raggiunti promettendo di radunare le donne per il sabato mattina . (sarà un grande incontro !).
Nell’ ora di pranzo il portone di casa “ha un gran da fare” : non smette infatti di aprirsi e chiudersi con un rumore di ferraglia che, meglio di un campanello, avverte che stanno entrando nuovi ospiti. Fra questi arrivano, casualmente, anche Margherita e la figlia per assicurarsi che si andrà a Willy e non disdegnano di partecipare alla maxi spaghettata in corso, mentre concordiamo di passare, nel primo pomeriggio, da lei per raggiungere insieme il villaggio.
Accompagnandoci nel percorso ci divertiamo a canzonare Margherita per il suo vocione e vociare: lei sta al gioco e se la ride sorniona. Intanto, lungo il sentiero, sporgendosi dal finestrino, gesticolando e urlando saluta quanti incontriamo. Probabilmente questa esternazione è per far notare che è in compagnia di bianchi e sta accompagnandoli al suo villaggio.
A ridosso del grande albero di Willy, che ci ha visti tante volte riuniti per i saluti, il cantiere di una casa in costruzione impedisce di godere ancora di quell’ antica ombra. Ci sistemiamo così fra le tettoie in paglia usate come aule scolastiche, sotto le quali minuscoli bambini seguono la lezione dei maestri; al nostro apparire, quasi obbedendo ad un comando militare, si alzano educatamente in piedi regalandoci un saluto corale.
I maestri sono esigenti nella disciplina e riescono a contenere l’ esuberanza dei ragazzi. Ottenuto il permesso gli alunni si disporranno in cerchio tutti intorno a noi.
Il Maestro (capo) ci accoglie con parole di saluto molto lusinghiere, in un ottimo francese, dopo averci offerto la ciotola dell’ acqua (simbolo di ospitalità).
Seguiti da bimbi saltellanti ci spostiamo al “magico baobab” , sempre enorme ed imponente, attorno a cui improvvisiamo un allegro girotondo.
E poi foto e foto: ogni viso vuole uno scatto, e ogni scatto deve essere poi mostrato suscitando in chi si ammira (forse per la prima volta) una liberatoria risata di sorpresa. Liberatoria perché l’ obiettivo mette soggezione e diffidenza, infatti il primo click è sempre di un viso estremamente serio. Ma vista l’ immagine acquistano fiducia nello “stregone fotografo”, così, rilassati, sorrideranno nelle pose successive.
Tornando, il Maestro (capo) mi accompagna verso il pulmino parlando con grande entusiasmo dei progressi di questa piccola scuola un po’ improvvisata. Capisco che ripone grande fiducia nella mia mediazione verso il consiglio di “Oltre la polvere” , sperando nella mia capacità di convincerli ad adottare il progetto di una scuola di mattoni a Willy. Questo uomo, forse di una quarantina d’ anni, ha un’ energia ed un sorriso rassicuranti e svolge il suo ruolo di maestro con grande passione ed entusiasmo.
Mi convince ! Anche la gente di Willy fa breccia nel cuore degli amici bianchi: la loro spontaneità li ha catturati.
Al calar del sole, mentre Issa sostituisce una ruota forata, progettiamo di ritornare ancora al villaggio per portare in dono palloni da calcio e distribuire una merenda ai ragazzi.
Entriamo in Koudougou quando ormai è notte. Sfacciatamente avanziamo, a Margherita, una richiesta di “dovuta riconoscenza” chiedendole di offrirci brakina e tonic per spazzare dalla gola la polvere respirata. Detto, fatto: ci troviamo accomodati sotto un portichetto dove ci viene servita una cassa zeppa di fresche bevande.
I bambini ci guardano curiosi, un po’ da lontano, ma basta il lampo di un flash perché si appiccichino al visore per ammirarsi. Ci mettiamo a cantare allegramente radunando intorno a noi una piccola folla di curiosi che sorridono divertiti nel vedere le blanc in atteggiamento (forse inconsueto) “festaiolo”.
La festa continuerà anche a casa con una cena rumorosa ed affollata, mentre la taumaturgica brakina scaccerà la malinconia, se per caso qualcuno ne soffrisse !
Giovedì 10 gennaio
La vita in Burkina è essenziale, e nessuno pianifica il futuro. Le famiglie sono strutturate in modo diverso da come siamo abituati a concepire noi la parentela; per esempio, il parere dei congiunti ha molta influenza sulle decisioni famigliari.
I bambini di solito sono numerosi ed i genitori non hanno per loro particolari attenzioni apprensive, anzi sono lasciati quasi in un trasandato abbandono.
Ogni giorno la gente deve inventare, talvolta anche con fantasia, il quotidiano per sbarcare il lunario.
All’ interno di questa società, dove la maggioranza delle persone paga un conto pesante per una vita di sopravvivenza, esiste un’ altra società, ancor più indifesa e maltrattata, che è quella degli animali.
Per non fare di tutta un’ erba un fascio circa il maltrattamento degli animali, accettiamo il suggerimento di amici che ci consigliano di visitare la riserva di Zignarè, proprietà del Presidente Comporè dove, dicono, si custodiscono animali autoctoni protetti in un habitat naturale, offrendo ai turisti un’ attrazione particolare e imperdibile.
Il sito è oltre la capitale a nord est, sulla strada che porta alla mitica Gorom Gorom, meta che abbiamo dovuto “abbandonare” perché considerata pericolosa, nel gennaio 2013, per l’inasprirsi delle tensioni nel vicino Mali.
Prima di darci per vinti e rinunciare al famoso mercato di Gorom, abbiamo contattato diversi informatori. Tutti quanti però ci hanno caldamente sconsigliati, dicendo che attualmente si può arrivare a Gorom solo per scopi umanitari e sotto scorta militare. Facciamo un rassegnato atto di fede.
Così per non rischiare la pellaccia cambiamo, con uno “svantaggioso baratto” , il mercato con il safari.
Per arrivare al parco si deve attraversare la città di Ouaga dove risiede Issa, che approfitta del transito per un abbraccio alla moglie e un bacio alla loro creatura che, non appena ci vede, scoppia in un pianto fragoroso: “ le blac” di solito fanno questo effetto ai bimbi !
A nord della capitale si estende, costeggiato da una strada (che corre in un’ area curata e ricca di verde) un enorme barrage, quasi un piccolo mare. Qui si coltivano orti rigogliosi e vivai che ospitano una varietà di piantine che, messe a dimora, produrranno frutta oppure regaleranno fresca ombra nei cortili delle case. Questo ambiente, così unico, trasmette la sensazione di essere su di un’ isola tropicale protetta da una bolla magica che difende da smog e polvere il piccolo paradiso terrestre.
Fuori città proseguiamo su un nastro di asfalto confortevole che corre in una zona secca e deserta per arrivare, verso mezzogiorno, in prossimità di Zignarè.
Seguiamo l’ indicazione del parco svoltando in un sentiero sterrato dove l’ ambiente circostante ci fa immediatamente intuire di essere ahimè capitati …. male!
Il punto di accoglienza è uno sgangherato bancone con tre ceffi dall’ aria sfaccendata che pigramente ci accolgono incassando il dovuto. Uno di loro sarà la guida alla quale faccio alcune domande sperando di ottenere rassicurazioni per sconfessare le prime negative impressioni, ma …… dopo un po’ di cammino appare evidente che il parco non è altro che uno squallidissimo e anacronistico zoo.
Una considerazione “politica” mi balza alla mente e deduco che l’ attuale Presidente del Burkina, noto per non preoccuparsi molto del suo popolo, non può certo riservare attenzioni migliori agli animali segregati nel suo parco. Magari, forse perché attrazione turistica, li tratta un po’ meglio dei carcerati di M.A.C.O. ?
La visita si trascina in un tour di un’ oretta dove di animali liberi vediamo solo gli avvoltoi che svolazzano, con un ampio dispiegare di ali, sulle nostre teste: magari giudicandoci un po’ “carogne” per essere venuti a visitare i loro simili prigionieri senza libertà !
La fatica di questa mattina e la delusione del safari si ripercuotono sul fisico e sul morale dei gitanti. Ma a tutto, quasi sempre c’è rimedio: siamo nella patria di “il n y a pas des problemes” e così ci regaliamo un delizioso pranzo nel “Jarden” più apprezzato di Ouaga: quello frequentato dai bianchi, quello che fa la buona pizza all’ italiana!
Il ristorante è curato. Nel giardino sotto le pergole e gli ombrelloni numerosi tavoli, con bianche tovaglie, attendono i commensali. Entriamo primi clienti ed al gentil cameriere, che ci fa accomodare, ordiniamo una urgente fornitura di brakina: siamo in riserva, l’ ultimo bicchiere è della sera prima !
Scegliamo, visto il ricco assortimento, menu differenti; per me ordino una brocette che arriverà cotta “au point” morbida, gustosa e accompagnata da verdure grigliate; Issa mi informa che la preparano con carne allevata dai pastori poel nella zona di Gorom Gorom. Questo mi rallegra e mi intriga perché quel luogo, lontano e al confine del deserto, mi è rimasto nel cuore.
Intanto il locale si sta affollando ed entrano numerosi i bianchi. Chissà perché qui nessun bianco saluta un altro bianco ? Che l’ Africa ci renda invisibili ?
Li osservo e cerco di intuire da quale paese provengano, quale possa essere il loro ruolo in Burkina: insomma, mi diverto a studiarli.
Alcuni hanno abiti eleganti, entrano con aria di sufficienza e “se la tirano“ : “BONA PARTE” provengono dalla Francia e lavorano per conto di Organismi Internazionali. Altri sono famiglie, di solito lui bianco e lei nera o viceversa. Sicuramente hanno un ruolo di prestigio nella società burkinabè, non hanno problemi economici e per distinguersi pranzano al ristorante.
In questo piccolo universo d’ elite spiccano, meno numerosi ma altrettanto curiosi, altri due generi di umanità:
- maschi, in fuga da un altro mondo, che vestono abiti giovanili e per cercare di fermare l’ avanzare dell’ età anagrafica portano zazzere tinte nero corvino e si accompagnano a belle ragazze di pelle nera, giovani ed appariscenti;
- ragazzi vistosi per la loro acconciatura (voluminosi rasta) che girovagano il Burkina interessandosi di musica e danza tradizionale. Sono ragazzi rimasti sognatori, un po’ figli dei fiori, d’ ispirazione afro e che non disdegno lo spinello (qui si compra a buon mercato !).
Anche noi magari siamo oggetto di curiosità: qualcuno si porrà le stesse mie domande, ma l’ importante é non farsi scoprire !
Chiudiamo il nostro pranzo con una coppa gelato davvero coreografica, pagando alla fine una addition “mignon”.
Prima di metterci subito in movimento chiediamo ad Issa di trovare un posto all’ ombra per un breve pisolino “digestivo”.
Poi, essendo in prossimità del grande mercato coperto di Ouaga, lo visitiamo.
E’ un grande bazar costruito su due piani dove si vende un mare di cianfrusaglie.
Il secondo piano è invece riservato al commercio dell’ artigianato. Saliamo, e, dopo
l’ ultimo scalino, veniamo letteralmente accerchiati quale “preda” dai venditori che ci trasportano verso le loro “boutiques” usando un’ insistenza, che per alcuni di noi è fastidiosa mentre per me è quasi divertente. Come è altrettanto divertente negoziare, trattare, abbattere il prezzo che di solito sarà la metà di quello iniziale.
Ho letto, su qualche guida, che il mercato di Koudougou è considerato più bello di quello della capitale e constato l’ esattezza della notizia. Il mercato di Koudougou è
un’ architettura accogliente fatta di mattoni e slanciate volte a vela. Lo si visita passeggiando tranquillamente fra i suoi mille odori, mille colori e mille venditori che con gentilezza offrono quanto hanno da vendere.
Venerdì 11 gennaio
Oggi è il giorno della preghiera comunitaria che i Mussulmani, rivolgendosi verso il sorgere del sole, elevano a Dio.
Appena la luce del venerdì inizia a scacciare il buio della notte, Draman ed io, in motorino, raggiungiamo la collinetta di terra rossa, appena fuori città, per goderci il levar del sole.
L’ aria è freschissima quando il primo pallido sole prende forma spuntando dietro un boschetto di eucalipti. Con rapidità il colore si ravviva per diventare poi fuoco accecante che scalderà il giorno.
La collinetta è poco più di un mucchietto di terra, ma ha un fascino particolare dato dal colore rosso vivo, che la rende un paesaggio che potrebbe appartenere ad un altro pianeta. Un cono appuntito e due massi sovrapposti, inclinati e solitari, si elevano sulla sommità come opere d’ arte lasciate lì da uno scultore anonimo.
In realtà, questo luogo ha assunto casualmente questa sembianza extra-terrestre ed é nient’ altro che quel che resta di una cava sfruttata per fabbricare i mattoni del nuovo mercato di Koudougou.
Casualmente il saccheggio ambientale ha lasciato un habitat grazioso, tant’ è che si presta egregiamente per fotografie suggestive (quasi una scenografia naturale per ritrarre chissà quale fotomodella). Non mi lascio scappare l’ intuizione e chiedo a Draman di una parente di Abiba che ricordo carina. Il fedele Draman, di buona memoria, mi assicura di parlare con Tamara che, nella luce soft della sera, sarà vittima dei miei scatti.
Dopo aver ripreso l’ alba africana, prima di rientrare passiamo a casa di Brema, per vedere, con lui, il pezzo di terra che Chef Kaborè, sceso da Tiebò, sta trattando per Salif. La casa di Brema è in una zona periferica molto tranquilla dove la città lentamente si espande. Le strade di questo quartiere sono parecchio dissestate ed anche pericolose per i numerosi pozzi d’ acqua (costruiti quando qui era campagna), rimasti però ora abbandonati e senza la minima protezione, come bocche aperte per inghiottire il passante ignaro.
Nessuno si cura di queste trappole mortali, e i bambini giocano e corrono tranquillamente in strada, mentre biciclette, motorini e auto girano intorno ai pozzi quasi fossero rotonde per regolare il traffico. Penso alle normative sulla sicurezza applicate a casa nostra, all’ apprensione delle mamme made in Italy .
Laboratori artigianali en plain air sono in ogni angolo: all’ ombra di verdi manghi le donne fabbricano, con piccoli telai, panni multicolori. Incuriosisce vedere come il filo è sistemato per la tessitura. Dipanate le matasse, di colori assortiti, il filo viene disteso, per una lunghezza di diversi metri, creando un effetto simile ad un rivolo di acqua che corre in strada per essere poi catturato da abili mani. Da quel paziente lavoro, (quasi
un’ arte antica), si ricavano tessuti che le donne portano avvolti a vita come abito tradizionale. Le tessitrici sono felici di essere apprezzate e si lasciano fotografare sorridendo con ingenuo stupore nel vedere poi l’ immagine del loro volto sul display.
Rientrati, troviamo, come sempre, la casa assediata da frotte di ragazzini che, ininterrottamente da mattina a sera, presidiano l’ abitazione.
Le blanc sono una marmellata e loro mosche golose che ne succhiano la bontà. Ci accolgono festanti saltellandoci incontro ! Mi fermo con loro, seduto sulla soglia di casa, raccontando che tra pochi giorni ci dovremo salutare: intanto il più piccolino del gruppo, con un po’ di timidezza, mi accarezza la pelle forse per scoprire di quale materiale è fatto un bianco. Odette è dispiaciuta della nostra prossima partenza ma, la consolo assicurandole che quando sarà buio, le spiegherò un modo per poter restare “in contatto” anche se lontani. Semplicemente dovrà osservare la stella Venere alla stessa ora in cui lo farò io in Italia. Mi regala un sorriso di sollievo !
In attesa che giunga mezzogiorno passiamo il tempo camminando, guardando la gente,
le loro abitudini ed il loro modo di lavorare. Curiosa la scena di un bimbetto, alto un soldo di cacio, stracciato e sporco, con in spalla un paio di lunghe barre di ferro. Le sta trasportando alla bottega del fabbro, dal quale sicuramente già lavora.
Vedutolo, l’ amico Matteo, istintivamente, si lancia ad impugnare le sbarre per alleggerirlo del peso. Il ragazzino, sentito il carico mancare, aumenta il passo per paura di essere derubato, ma, compresa la gentilezza, ringrazia per l’ aiuto con un sorriso !
Scoccano le tredici e l’ aria è come il calore di un phon .
Alla Moschea arrivano i fedeli con il tappetino appoggiato sulla spalla: lo stendono poi a terra per inginocchiarsi, scalzi, in preghiera.
Gli uomini pregano separati dalle donne che partecipano in disparte e meno numerose alla breve funzione. L’ Imam rivolge invocazioni che giungono, amplificate da stonati altoparlanti, anche all’ esterno dove in modo corale si risponde. La vita della città intorno al tempio si è fermata in un silenzio che quasi esige rispetto.
Mi piacerebbe entrare nella Moschea, mi piacerebbe fotografare e con discrezione rubo, per quel che mi è possibile, qualche istantanea. Incutono un po’ di soggezione,
i mussulmani, e credo non amino gli intrusi durante le funzioni. La cerimonia ha per certi versi una somiglianza con le celebrazioni da noi conosciute.
Il messaggio del Profeta è un messaggio di pace ed in questa terra di “uomini integri” fortunatamente l’integralismo arabo è forestiero. Peccato che proprio dei forestieri stiano premendo a nord, al confine con il Mali, per far entrare la pericolosa zizzania.
“ Durante la Preghiera bisogna essere umili: se il cuore di un individuo si sottomette ad Allah, anche il suo corpo farà altrettanto; esso, in tal modo, non compierà più atti inutili» “
Raccolti i tappeti, la piccola folla della Moschea si disperde in un vociare che sale via via di tono: poi la strada che riprende vita, ne inghiottirà il suono.
Restano a custodia del Tempio i mendicanti accovacciati in un atteggiamento fisso e di preghiera, apparendo ai nostri occhi come pedine immobili di una scacchiera.
Trascorriamo il pomeriggio a Willy in compagnia dei ragazzi del villaggio ai quali, per par condicio con Tiebò, offriamo una merenda tutta cioccolato. Regaliamo anche qui dei palloni che, immediatamente presi a calci, volano in una nuvola di bambini e polvere. La palla non avrà di certo lunga vita, perché il gioco, senza regole e senza confini, prima o poi la farà rotolare su una spina, maledetta, che ahimè fatalmente la bucherà. Non per questo verrà buttata via perché, anche senza forma, continuerà a regalare felicità.
Il villaggio di Willy è una piccola comunità di persone che vivono in casette sparse nella campagna: capire quale possa essere il centro di questo villaggio è impossibile. Forse potrebbe essere, per una fantasiosa supposizione, il luogo dove cresce il mango sotto il quale, tante volte, ci siamo seduti: sarà per questo che proprio quel luogo è stato scelto per dare vita ad una embrionale attività scolastica.
A fianco di questa “immaginabile” piazza, per dare il senso di un “immaginabile” centro urbano, vive un nucleo di persone in un gruppo di case fatte in mattoni di terra.
Il sole che scende radente la sera dona un riflesso particolare ai muri di queste abitazioni, apparendo di un tonalità che sfuma fra il rame ed il ferro arrugginito.
Ci spiegano che il colore deriva dall’ impasto fatto di terra e sterco di animali, usato come malta da intonaco, molto resistente all’ erosione dell’ acqua.
Non avendo nessun odore sgradevole, i muri si prestano come ottimo fondale per un primo piano a Selena che allegramente, “senza problemi”, si presta a posare come fotomodella. Grande!
La casa, che si affaccia su una immaginaria piazza, custodisce la vita delle persone, ma poco distante, in un cimitero sempre immaginario, un paio di tombe custodiscono la vita che fu.
Sono curiose, fuori luogo e sproporzionate. Rivestite di piastrelle bianche, costruite a gradinate, appaiono un’ ostentazione che cozza con la semplicità che le circonda, mentre architettonicamente sono un contrasto inguardabile. Per quale logica siano così quelle tombe non lo so davvero.
Alcune pecore, intanto, si divertono a salire da un lato per scendere dall’ altro, per poi riprendere immediatamente il giro. Poi, stanche della giostra, si accovacciano sulla sommità per riposare al sole, e sotto qualcun altro da tempo riposa in ombra.
L’ undici gennaio lo chiudiamo, rientrando da Willy, con un po’ di cagnara a casa di Margherita. Ritemprati con Brakina e Castel (birra di qualità superiore) rincasiamo per una cena povera (le provviste from Italy stanno esaurendosi) ma ricca di ospiti.
Sabato 12 gennaio
Siamo dai picchi rossi, sulla collinetta, per condividere, finalmente tutti insieme, lo spettacolo che apre la scena del giorno e per raccogliere questa luce africana in un ricordo che con un po’ di nostalgia rispolvereremo tornati a casa.
Il “centro” di questo giorno è l’ incontro con le donne, laggiù sulla via di Sabou, dove ci recheremo per rinnovare il rituale di amicizia che conferma l’ affetto che ci lega a quelle donne, semplici ed indifese, costrette a scambiare la loro sopravvivenza con un umile lavoro. Questa situazione di povertà e di emarginazione è vissuta in un paesaggio molto bello. Un ampio boschetto di eucalipti dona una gradazione di colore delicata, (digradante dal grigio tenue del tronco al verde intenso del fogliame) che, come un mantello discreto, protegge dal sole la fatica delle donne. Ogni tanto, e improvviso, un soffio di harmattan scuote le foglie affusolate degli eucalipti ed il loro suono ritmico, come uno scaccia pensieri, esorcizza la stanchezza e la rassegnazione.
Distesi sulla terra rossa, coni di pietre, quale lavoro prodotto, sono disposti con geometria regolare apparendo quasi il decoro di un immaginario tappeto steso per abbellire l’ ambiente.
Arriviamo al luogo di incontro sorpresi di vedere così tante donne ad attenderci.
“Ci spiazza” questa folla che, in processione, cantando e battendo le mani, ci viene incontro fino ad inglobarci per farci diventare un tutt’uno multicolore. Il nostro gesto di saluto è segno prezioso per questa comunità che si sente riscattata da una stima che nessuno a loro mai aveva dato.
Queste lavoratrici sono vedove che vivono in condizioni molto misere e per questo si sono organizzate in Associazione come forma di sostegno mutualistico.
Ci fa gli onori di casa la Presidente. Donna combattiva, energica e decisa. Nel saluto che ci rivolge esprime il disagio e le problematiche della loro condizione. I suoi occhi sono perle vive. Rafforza il discorso muovendo le mani con gesti netti, quasi come
un’ arma brandita contro un nemico di nome Ingiustizia. Che donna !
Dal lungo discorso apprendiamo che questo lavoro sta esaurendosi, perché nei dintorni ormai a fatica si trovano nuovi massi da estrarre.
Mentre queste parole corrono, Selena e Stefano corrono a Koudougou per acquistare del pane bianco che daremo a queste donne coraggiose come piccolo regalo insieme a un gruzzoletto di franchi, preziosi per rimpolpare il tesoretto dell’ Associazione.
Con stupore rivedo e riconosco la ragazza alla quale, l’ anno precedente, avevo regalato il mio cappellino …. E’ molto bella, ed ha uno sguardo fiero. L’ avvicino per capire se si ricorda di me, ma non ottengo conferma, temo abbia difficoltà a comprendere il francese; domando allora informazioni di lei alla Presidente senza immaginare di rivolgermi proprio alla madre: è sua figlia, di 17 anni, con un bambino ed in più vedova ……….. terribile !
Apprezziamo la dignità di queste donne che è tanto grande quanto è potente la loro forza nel resistere a simili tribolazioni !
Il pomeriggio trascorre lentamente e senza grandi cose fatte: scivoliamo in una cena, come al solito, affollata. Anche se le italo-riserve alimentari sono ormai esaurite improvvisiamo un menu con al centro una grande pasta, fatta di spaghetti che, simili a fili, ci uniscono tutti. L’ allegria è la buona compagna che, se nutrita con brakina, diventa migliore.
Domenica 13 gennaio
Il pollo è stato un animale da sempre libero. Nelle aie delle cascine di casa nostra, comunità di pennuti hanno, da sempre, razzolato e cercato cibo in giro per la campagna. Al calar della sera a frotte tornavano al pollaio: non credo che le massaie, dedite alla loro custodia, ogni giorno facessero la conta dei polli …… un semplice colpo d’ occhio bastava per stimarne il numero. Ora la situazione è cambiata e
l’ allevamento si gestisce in ambienti chiusi, con programmi di alimentazione controllati. Non si ha più memoria di liti fra vicini di casa per una gallina che ha razzolato nella proprietà altrui, ed anche i ladri di polli hanno cambiato occupazione (considerazione adatta ad un periodo ante crisi economica ….!).
In Burkina un pollo è un pollo, è importante, e ha valore. Infatti se qualcuno si azzarda a rubarne uno ed è scoperto, da quell’ attimo la sua vita può anche valere meno del pollo stesso.
La giustizia in Burkina è amministrata da autorità competenti, ma talvolta può accadere che la gente ricorra a metodi più sbrigativi.
Questa domenica africana cade il giorno 13, numero che i superstiziosi considerano portatore di fortuna, e la fortuna, quando passa, bisogna acchiapparla, altrimenti .....!!!
Brema questa mattina arriva di gran fretta in motorino a casa nostra ed è vestito di tutto punto, ostenta un cellulare (che amplifica un’ orribile musica afro) ed un paio di rayban taroccati, tanto per far capire che, lui, si è fatto i soldi in Europa. In realtà, ai nostri occhi, appare un semplice “tamarro”. E’ molto agitato, c’è qualcosa che non va. Con difficoltà capisco dal suo afro-francese che da qualche parte hanno acciuffato un ladro e vuole condurmi a vedere quel che sta accadendo.
Da buon curioso non mi faccio pregare. Salto in sella al motorino e partiamo sparati zigzagando fra buche, pedoni e auto: devo stare attento a non essere disarcionato. Arriviamo così davanti alla farmacia: in strada è radunata una folla che cresce via via di numero bloccando il traffico. C’è fermento, è qualcosa di importante, e Brema, con decisione e senza esitazione, si fionda con il motorino nel cuore della “faccenda”.
Un ragazzo dal volto terrorizzato, impietrito e con le mani legate da un fil di ferro dietro la schiena è bloccato sul ciglio della strada con appesi al collo alcuni polli, altrettanto terrorizzati. E’ accerchiato dalla gente che, concitata, sbraita mentre un uomo, seduto su una carrozzella, sostiene di essere stato derubato e rivendica giustizia.
La confusione è tanta e la storia non pare destinata ad un lieto fine sicuramente !
Brema mi invita ad intervenire perché io, uomo bianco, posso liberare il ragazzo.
Non capisco bene quali rischi sto correndo ma slego le sue mani e Brema, tolti i polli dal collo del prigioniero, li riconsegna al derubato, quale segno di restituzione invitandomi ad intervenire ancora affinché l’ uomo in carrozzella perdoni il ladro e (Dieu merci) lui accetta.!
Brema sollecita, con vigore, il ragazzo ad andarsene immediatamente prima che si scateni qualche reazione pericolosa, ma lui, terrorizzato, non riesce a muoversi: non resta allora che farlo salire velocemente sul motorino per condurlo lontano e al sicuro.
Io rimango lì , solo, in mezzo alla folla che continua a fare commenti che non comprendo, ma dove il nome “blanc” e “nasara” sono un intercalare frequente !
Resto in disparte, con la speranza che la mia corazza bianca mi difenda da un linciaggio, perché l’ intervento non è stato gradito a furor di popolo. Intanto un uomo che ha pietà di me mi viene accanto, mi parla e questo mi rassicura, cerca di spiegarmi della gravità del furto e della sua convinzione che chi ruba, anche se perdonato, tornerà a rubare: intanto, Dieu merci, Brema ritorna !
Mentre rientriamo non mi tolgo dalla mente il vissuto, l’ intervento è stato
provvidenziale per la vita del ragazzo (perché qui non si scherza) e intanto fatico a spiegarmi perché Brema mi abbia portato in quel posto, per quale motivo, perché un motivo, bene o male, c’è sempre.
Voglio comunque incontrare di nuovo quel ragazzo ed anche l’ uomo in carrozzella che ha accettato di perdonare: ottengo l’ assicurazione che nel pomeriggio potrò vederli.
Il resto di questa mattinata da brivido lo trascorriamo con Margherita che, per aumentare la sua “popolarità”, ci accompagnerà alla Funzione domenicale nella Chiesa da lei frequentata. L’ edificio è poco lontano dalla sua abitazione, in un capannone adibito a luogo di culto. Un gran numero di fedeli, vestiti di tutto punto con colori sgargianti, sono radunati fuori in attesa del nostro arrivo. Scendiamo dal furgone e siamo accolti quasi fossimo delle Rock-star, mentre Margherita sbraitante ed eccitata invita la gente a prendere posto in Chiesa.
Appena entrati, capiamo immediatamente di essere stati “intrappolati” e che la cosa “andrà per le lunghe” ; intanto ci viene assegnato il posto d’ onore in prima fila ma, nel rispetto della separazione fra uomini e donne, Selena si ritrova isolata nel reparto femminile.
Il predicatore è in alto, di fronte all’ Assemblea per guidarla; ai suoi lati sono appollaiate due orchestre, stile beat, che si alternano per sostenere i cantori che animano la Funzione.
Il suono della batteria, della tastiera, della chitarra e le voci passano attraverso
un’ amplificazione di scarsa qualità che riproduce, in modo distorto, i canti che tuttavia sono davvero allegri e trascinanti. La partecipazione è attiva ed organizzata infatti, a turno, ogni settore ha spazio per esprimersi. Quasi come un’ esibizione canora cantano i giovani, i bambini, le donne, gli adulti ed in questo susseguirsi si fa apprezzare un ragazzo, che, da solo e con un semplice Kajon (incrocio fra una piccola cassa ed una batteria), con energia e tempismo straordinario produce un ritmo che diventa quasi musica . Davvero eccezionale!
Guardiamo sovente l’ orologio, pare di essere lì da tanto tempo, cerchiamo un via di uscita, ma invano. Il mio vicino, che sa “come funziona la faccenda”, continua a rassicurami che arriverà presto il momento dei saluti. Selena lancia occhiate interrogative, quasi di disperazione, ma bisogna pazientare fino a quando il Pastore avrà terminato la sua predica rinvigorita da ripetute energiche acclamazioni. Finalmente veniamo invitati sul palco per la presentazione! Tesse le nostre lodi Margherita, con passione e grandi giri di parole, dette in morè, parole che ci vengono restituite tradotte in francese. Ovviamente è impossibile non replicare e, senza il tempo di organizzare mentalmente un discorso, mi trovo con il microfono fra le mani di fronte ad una quantità di volti e occhi sgranati che attendono: una doverosa risposta. Essendo in una delle tante case di Dio mi affido a Lui per avere la capacità di esporre quattro confuse idee trasportate in simultanea dall’ italiano ad un francese il più possibile comprensibile.
“Va alla grande” : riesco perfino a fare una battuta che fa sorridere tutti quanti. Voilà, e Dieu merci, siamo liberi e possiamo andarcene.
Usciamo liberati e con passo rapido, quasi fuggissimo, raggiungiamo Issa che ci ha attesi fuori. Prima di partire ho dovuto giocarmi un “ bonus provvidenza “ . Una panca, rotta, abbandonata sul marciapiedi piena di chiodi acuti si offre d’ appoggio alla mia scarpa che viene trafitta da parte a parte, ma … dato che appena qualche ora prima avevo fatto una buona azione, (con il ragazzo del pollo), ho potuto beneficiare di una speciale “protezione celeste” che ha guidato il chiodo tanto da farlo passare, con precisione millimetrica, fra le dita del piede, senza ferirmi.
Prima di pranzo assistiamo anche ad un “enterrement” nel piccolo cimitero vicino casa. E’ una donna anziana a cui viene dato eterno riposo con una rito molto simile a quello che conosciamo.
Il resto della giornata scorre pigramente e nel caldo pomeriggio viene a trovarmi l’ uomo in carrozzella, il derubato, che ancora ringrazio e omaggio con un qualche “cadeaux”, sperando che non abbia ripensamenti sul perdono concesso.
Poco dopo Brema accompagna il fratello del “ladro” che è sparito e non si trova … spero sia perché terrorizzato. Mi faccio assicurare che non sarà oggetto di vendette.
Mi auguro sia tutto vero ! Qui la verità è sovente nebulosa.
Il resto del pomeriggio lo trascorriamo andando a Tiebò per salutare, poiché il giorno della partenza è ormai prossimo.
Lunedì 14 gennaio
Questo è l’ ultimo giorno che depenniamo dal calendario del viaggio, perché a notte fonda rientreremo in Italia. Sarà una lunga emozionante maratona.
Fuori casa l’ assedio dei bambini è serrato ed il portone, fin dal primo mattino, è custodito dalle piccole guardie che mendicano la loro ultima “paga” : un po’ di pane, un pallone, dei bon bon…….
Oggi più che preparare le valigie siamo impegnati a svuotarle, tutto quanto possibile sarà regalato, e tutto quanto acquistato dovrà essere accuratamente imballato per non essere danneggiato nel trasporto.
Dopo la colazione per l’ ultima volta ci rechiamo al mercato per acquistare ancora oggetti di artigianato. Dal bazar di Aziz si trova di tutto e di più, seppur sepolto da uno strato di polvere, quasi antica: dalle collanine variopinte ai batik di ogni dimensione, dai panni tessuti a mano e decorati con disegni raffiguranti scene di vita africana, al legno lavorato dagli artigiani per ricavare maschere, statue, sgabelli intarsiati e strumenti musicali. Qui tutto parla di Africa autentica. Aziz è magro e alto di statura con un volto che, quando sorride, evidenzia le rughe che segnano la sua pelle nera. E’ un tipo sveglio, un commerciante che sa fare bene il suo mestiere. Conduce la trattativa in modo simpatico, scherza con il cliente e diventa inflessibile appena il prezzo diventa “bon prix”.
Usciamo dal bazar ognuno con il proprio bottino di souvenirs, tutti quanti avremo voluto comprare molte cose in più, ma vogliamo anche accontentare l’ amico del mercato coperto, al quale abbiamo promesso che avremo acquistato da lui prima di partire: parola data deve essere mantenuta !
Sono i nostri ultimi acquisti e per l’ amico è l’ ultima occasione per spillarci dei soldi, così combattiamo una battaglia commerciale davvero coreografica, in un tiramolla portato all’ estremo: naturalmente ci lasciamo in armonia con strette di mano vigorose e l’ arrivederci alla prochaine fois !
Rientrati a casa viviamo l’ emozione dei saluti. Ci dobbiamo congedare da chi ha vissuto in nostra compagnia questa splendida parentesi, ed allora, come sempre, posiamo per le foto di gruppo.
Selena oltre ai souvenirs vorrebbe portarsi a casa anche Willy perché ha una predilezione per lui: l’ hanno conquistata la sua gentilezza, la sua bontà e la sua discrezione. E’ un ragazzo aperto, desideroso di conoscere e ama apprendere l’ italiano per aggiungere nuove parole al suo vocabolario e poi abbozzare piccole frasi.
Con lui abbiamo condiviso il soggiorno e in ogni nostra “gita” e è stato un compagno che ha saputo farsi apprezzare.
La nostra partenza restituirà calma alla casa che tornerà a vivere il suo ritmo di sempre.
I personaggi che le hanno gravitato intorno in questi giorni, non verranno più, e sicuramente ricorderanno con un po’ di nostalgia queste persone strane che sono le blancs.
Issa ha spolverato il pulmino dove sistemiamo i bagagli e ……. le persone, per raggiungere Ouaga, dove un aereo ci trasporterà da un luogo caldo al freddo inverno di casa nostra.
Grazie agli splendidi compagni di avventura:
SELENA: per l’ immediatezza, la spontaneità, l’ entusiasmo dei suoi anni e la grande capacità di adattarsi. Qualità da far fruttare: obiettivo fotomodella.
MATTEO: uomo di collina e di antiche origini ungheresi, che ha masticato a volte con
fatica la polvere rossa, combattuto fra il ruolo di spettatore e quello di attore, ma sempre un amico generoso.
LILLO: la taglia XXL produce effetto di solidità, contrappeso utile per equilibrare pericolosi eccessi di istintiva generosità.
FRANCO: potenziale “papà adottivo” di bambini burkinabé, tenerone, generoso, ama elargire. Vive un personale isolamento musicale Vasco - auricolare.
STEFANO: “africano ricoperto di bianco” che assume sfumature terrorizzate solo quando deve affrontare il volo verso la sua seconda patria. Entusiasta del Burkina e dei burkinabé.
L’ AFRICA E’ COME IL CAFFE’ AMARO:
all’ inizio si fatica a credere che senza zucchero il caffè sia migliore,
ma, poi …. chi prova non cambia più.
Così è l’ Africa !
beppe ghiglione
(gennaio 2013)